Glifo

GlifoGlifo di Percival Everett parla di Ralph, un neonato di 10 mesi intelligentissimo che si rifiuta di parlare. In compenso scrive bigliettini che mandano in agitazione tutti tranne la madre, che continua ad amarlo, ricambiata, come le mamme fanno con i figli, anche i più scapestrati. Il romanzo, scritto in prima persona da Ralph, descrive le disavventure semicomiche del bimbo, rapito da studiosi, dalla C.I.A., da due poveracci e perfino da un prete pedofilo (pare essere la moda del momento). Il tutto condito da riflessioni filosofiche sul linguaggio, sempre sul filo dell’ironia, tanto da far pensare ad un senti chi filosofeggia. In definitiva, il libro, nonostante l’idea originale e lo stile divertente, dopo un centinaio di pagine ha cominciato a stufare Zuck, che l’ha terminato il più presto possibile. Forse perché non è che vi abbia scorto molto di più che un divertissement (?) per teorici del linguaggio.

Pare che, potenza del marketing 2.0, il libro abbia anche un blog.

La mania per l’alfabeto

La mania per l’alfabetoCome i miei venticinque //feed reader// ben sanno, per me un romanzo è trama, intreccio, varietà dei personaggi e magari qualche morto //ammazzato//. Invece La mania per l’alfabeto di Marco Candida non ha niente di tutto //questo//.
Dopo le prime pagine, già mi preparavo a cercare una //scusa// per non stroncare un libro che, in definitiva, parla di Marco Candida che //cerca// di scrivere un libro.
Però, man mano che andavo avanti con le pagine, mi trovavo a //volerne// leggere ancora di più. E a perdere le //stazioni// a cui scendere, assorbito dai vaneggiamenti di cui Michele, il protagonista, riempie milioni di post //it//. A leggere orazioni funebri scritte dalla morta stando in piedi sull’autobus, non appoggiandomi agli //appositi// sostegni. Ad attraversare la strada con gli occhi sulle pagine in cui Fran scopre che tutto il mondo gli //tende// imboscate.
Come potete ben capire, il vostro //beneamato// Zuck è rimasto esterrefatto da questa inspiegabile //malìa// che l’aveva catturato. Poi ha capito che era tutta colpa dei piccoli //esserini// che stanno dentro al computer.

Web e democrazia 2.0

Al barcamp, ho assistito un’interessante discussione, nata durante lo speech di Nicola Mattina che tracciava una serie di paralleli tra il web 2.0 e la democrazia.
Una cosa da puntualizzare, secondo me, è che la democrazia non è equivalente all’assenza di regole. Anzi, proprio le regole sono il fondamento delle democrazie, in quanto equilibratrici delle disparità di forze tra i vari soggetti della società.
Nel web tutto questo non pare esistere e l’assenza di regole non porta alla prevaricazione del più forte sul più debole unicamente perché l’abbondanza (e la quasi illimitatezza) di spazi di espressione attenua le probabilità di conflitto.
Ma nella società reale, e nella vita, purtroppo, le risorse a disposizione sono limitate e la lotta per esse è, molto spesso, senza esclusione di colpi. E la democrazia funziona proprio perché regolamenta questa lotta e incanala le forze risparmiate verso il bene comune.

Se vogliamo fare un parallelo di questo genere, vedo il web come strumento esemplicativo della cosiddetta dittatura delle masse che, purtroppo, si è rivelata nella vita reale come una utopia sanguinaria.

Come vorrei il mio Zenacamp ideale

Io, dottori, lo Zenacamp lo vorrei che si facesse in Palazzo Ducale. Lo farei organizzare ad Andrea, Tambu, Federico e Marco. Vorrei che fosse una bella giornata di fine Aprile, quelle in cui ti fa piacere uscire presto, quando il cielo è ancora terso. Ed arrivare un po’ prima, in modo da cercare di dare una mano per mettere a posto le ultime cose.

Se mi fosse chiesto che cosa distribuire ai campers, metterei in un sacchetto di quelli di tela, belli resistenti (magari sponsorizzati dalla startup yooplus), alcuni prodotti della San Lorenzo (tipo un pacco di trofie e un barattolo di pesto), una penna del secolo XIX e due magliette, una bianca a manica lunga (di Tiscali) oltre a quella classica con il logo dello Zenacamp. Questa la farei nera, e dietro ci metterei una frase simpatica, una presa per il culo per confermare che noi genovesi siamo spiritosi (tipo Liberté, Egalité, Trenetté). E magari darei alle donne una borsa da mare offerta da Cap. E vorrei che il pasto fosse gratis (per confermare che noi genovesi a ‘ste cose ci stiamo attenti) e che arrivasse Jtheo con dei badge personalizzati per ogni camper, in modo che ognuno si sentisse speciale, magari delle spillette col proprio nome e blog sopra, ecco questa sarebbe una buona idea. E ad accogliere i bloggers alla registrazione, ci metterei il sorriso di Marina, di Mescaline e di Chiara. Farei tre sale, una più visibile ma non molto udibile, le altre più appartate e funzionali. Si potrebbero chiamare con nomi di prodotti tipici della nostra terra, tipo Farinata, Pesto, Focaccia, una idea come un’altra.

Che interventi mi piacerebbe sentire? Vorrei iniziare con Roberto Dadda che scherza, ma mica tanto, sull’usabilità degli oggetti tecnologici. E poi vorrei capire come Palmasco riesca a fare quelle magnifiche foto. E vorrei vedere arrivare la Smilza, e consegnarle personalmente la spilla col suo nome. E vedere che lei riesce a capire perché le scorse volte ho fatto chilometri e chilometri per andare agli altri barcamp. E lasciarla lì, rapita dagli interventi su come le nuove tecnologie interagiscono con l’insegnamento
Cercherei di girovagare per le sale fino all’ora di pranzo, andrei giù al Mentelocale, mi sedrei al tavolo con la smilza, il silenzioso, LaTony e Giulio. Parleremmo della nostra capogruppo, di wiki aziendali e del buon vino bianco. Poi prenderei sottobraccio la smilza e farei un giro all’aria aperta a parlare di quello che abbiamo ascoltato.

Tornati dentro, mi piacerebbe poter sentire il simpatico Luca che parla del suo lavoro e anche del mio. E scherzare un po’ con JTheo e OninO, salutare Intempestiva, rivelare agli altri qual è il vero volto di Gattostanco, abbracciare Tao e Placida Signora (però vorrei che non zoppicasse più!), salutare Lele e il suo bambino e riprendere il funambolico Robin Good. E poi preferirei che ci fosse qualcosa fuori dagli schemi, una cosa non prevista, che sono quelle le cose fanno il barcamp tanto barcamp. Tipo che Federico si metta a fare la sua presentazione sulle serie TV, come sempre stilisticamente impeccabile, non in una delle sale, ma direttamente alla reception e che Enrico lo presenti e che la presentazione sia tipo un post di SuzukyMaruti che sono simpatici e interessanti, ma non finiscono mai.
Magari assistere ad un dibattito sulla democrazia in rete con Nicola, Gaspar, Antonio, Boh e Stefano, a cui si lega Ludo che parla della magnifiche mappe e interviene Paolo, mentre sullo schermo dietro appaiono tante chiavi di ricerca, di cui (per pudore) Trans Milano è l’unica che potrei scrivere se, l’indomani, facessi un post sullo Zenacamp. Mi piacerebbe capire cosa è BlogLab e così arrivare alle sei di sera, stanco ma soddisfatto. Un altro desiderio, ma so di chiedere troppo, sarebbe quello di beccare un tipo con zaino che si aggira con un libro in mano, e che quel tipo fosse proprio il Candida, e quel libro fosse proprio il suo romanzo, che deve ancora arrivare nelle librerie, e che potessi averlo in anteprima, senza pagarlo (forse chiedo troppo ai miei desideri?).
Certo mi fermerei per dare una mano a mettere a posto, così da non sentirmi troppo in debito con i magnifici organizzatori e tornerei a casa contento, non prima di aver dato una maglietta in più a Davide.

Magari si potrebbe anche organizzare una pizzata con il gruppo dei reduci, giusto una trentina (li farei contare a Tambu che è il suo lavoro). Vorrei sedermi tra Andrea Beggi e Marina, di fronte a Gaspar. E mentre si aspettano le pizze, parlare con Paolo, Gaspar e Beggi di spam nei commenti, con Marco del suo libro e di nuovi scrittori (facendo fuggire il Beggi). E continuare a farlo con Intempestiva e Gaspar, spaziando dall’Italia fino alla Russia, fino a che Gaspar mette la parola fine pronunciando Turgenev.

Certo, tutto questo è solo un sogno, un BarCamp così perfetto è solo nei miei desideri…

Rio – Leonardo Colombati

RioRio è il nuovo romanzo di Leonardo Colombati. Confronto a Perceber, che era assorbiva il lettore (e l’autore, penso) in una storia enciclopedica con infinite biforcazioni, questo è un romanzo “normale”. E a me, è piaciuto molto di più.
La storia è quella di un giovane romano che affronta a Londra uno dei punti di svolta di quella che potrebbe essere una brillante carriera, ma si fa affascinare da un vecchio scrittore conosciuto nell’atmosfera torbida di un club per nudisti: il Rio Center.
A tratti esilarante, a tratti riflessivo, a tratti psichedelico con una goccia di thriller e di follia. Il tutto condito con riferimenti musicali (un esempio è spiegato in roiordie) di grande effetto.
Un parallelo si potrebbe fare con Perduto per sempre di Roberto Moroni, per come descrive i thirty something di oggi, sempre schiacciati da figure paterne ingombranti. Padri di successo, ossessionati dalle donne, ma sempre disprezzati dai figli.