Database ad oggetti?

Chiunque abbia fatto un po’ di programmazione ad oggetti sa benissimo che le difficoltà più grandi si affrontano quando si deve gestire la persitenza delle informazioni.
Questo perché il nostro modello ad oggetti deve essere salvato su un database che nella totalità dei casi è un database relazionale. Cioè fatto di tabelle piatte su cui salvare i dati. Questo porta ad una dicotomia (impedance mismatch): da una parte il modello usato dai programmi applicativi dovrebbe essere quanto più ad oggetti, dall’altra il modello deii dati sul database deve essere puramente relazionale.
Il problema viene risolto in vari modi: si può sacrificare il modello ad oggetti alla logica del database, individuando come oggetti le tabelle dove andranno a salvarsi i dati oppure si può utilizzare uno strato di software che si occupa di fare la conversione tra i due modelli.
Entrambi i metodi hanno, chiaramente, degli svantaggi, sia dal punto di vista delle performance, sia dal punto di vista della manutenibilità del codice e della sua chiarezza.
Una soluzione, che già era stata percorsa una decina di anni fa con scarsi risultati, è quella di avere dei database ad oggetti, che salvano gli oggetti mantenendone le caratteristiche.
Uno di questi è db4o (db for objects), che è rilasciato mediante GPL per scopi non commerciali (una licenza uguale a quella di MySQL). Scritto in versione java e .NET, fornisce al programmatore delle semplici API che consentono di salvare oggetti complessi direttamente con una istruzione.
Certo si perde tutto l’SQL, la teoria sulle normalizzazioni e gli RDBMS, ma ci si può fare un pensierino per modelli ad oggetti di una certa complessità.
Qui e qui approfondimenti sul tema.
Dottori, non preoccupatevi, sto bene (si fa per dire, naturalmente), è che volevo un po’ fare il Beggi, oppure il Fullo.

Sleep tonight

You better get some sleep tonight
You better get some sleep tonight
Honey, just warn your friends
You better get some sleep tonight

Eh sì. Eh sì. Lo so che hai tirato su la carretta per tutti questi anni. Mentre io ero via, in giro. A cercare roba, per lo più. Eri davanti a tutti, a prenderti gli applausi, sì, ma anche a tenere insieme il gruppo. A tenerlo insieme. A cercare una direzione, a lasciarti sedurre dalle mode, a seguirle, a dettarle, a fare dischi con materiale di dieci anni prima. E io ero lì dietro di te, in un angolo del palco, a pochi metri ma lontanissimo. Glimmer twinsEro via, ero fuori, mi trattavo bene come mi curavo i denti. Ma avevo la chitarra, i miei riff e soprattutto avevo il gruppo. Lo so che senza il tuo sbatterti mentre ero via non ci sarebbe stato nessun gruppo, ma tant’è.

Poi mi sono tirato fuori. Sono tornato. Magari è stato merito di quell’ordinanza del giudice, oppure merito tuo, oppure del gruppo, cioè ancora merito tuo. E ho ricominciato a vivere, a prendere in mano la mia vita. E anche il gruppo, naturalmente. Piano, piano la mente mi si è liberata.

E adesso, mi dici che vuoi far da solo. Proprio adesso che sono tornato. Che sono lucido. Oppure proprio per questo? Non vuoi che qualcuno discuta la tua linea? E il gruppo? Lo sai che c’è chi è caduto nel fosso dove stavo io prima. Va bene, fai da solo, intanto lo so che non combinerai nulla di buono. Senza di me, senza il gruppo.

Sai che ti dico? Fatti una dormita, Mick.

All you got to do is close your eyes

Sleep tonight è una delle più belle tra le canzoni dei Rolling Stones cantate da Keith Richards. Sta in Dirty Work, dottori, e ne giustifica l’acquisto.

GB84

Il 1984 è l’anno dell’ultima guerra civile inglese.
Che questa affermazione stupisca voi come aveva stupito me prima di leggere GB84 di David Peace è la dimostrazione di come i mezzi di informazione, dovutamente addomesticati, possano insabbiare uno degli avvenimenti più importanti degli anni ottanta (un esempio su tutti, se in Gran Bretagna non esiste uno legge compiuta sul diritto di sciopero lo si deve a quello che accadde in quell’anno). GB84
Per un anno intero si fronteggiarono il sindacato dei minatori inglesi (NUM), appoggiato anche da altri sindacati, e la commissione nazionale del carbone (NCB), appoggiata dal governo della Thatcher, nel più lungo e sanguinoso sciopero che dilaniò il tessuto sociale di intere regioni inglesi. Tra cui lo Yorkshire, patria dell’autore.
Cos’è questo romanzo? È la storia dello sciopero vissuto da Peter e Martin e dalle loro famiglie? Fantapolitica sulle mosse, quasi sempre oltre il limite della legalità di NCB e NUM per aver la meglio uno sull’altro? La storia degli scontri sanguinosi che culminarono nella battaglia di Orgreave? Un thriller sanguinoso sui loschi figuri che torturano e uccidono, favoriti dai servizi segreti? La storia delle ruberie dei fondi destinati ai minatori da parte di alcuni membri del sindacato? Il duello tra il Presidente (Arthur Scargill, lo Stalin dello Yorkshire) con i suoi picchetti volanti per bloccare l’attività di quante più miniere possibili, e l’Ebreo, abile manipolatore dei media?
Beh, è tutto questo, e anche qualcosina in più.
E adesso mi vado a leggere i romanzi del Red Riding Quartet.

Sono tornato

Porto sa ruxi -  SpiaggiaPer i miei 25 dottori che pensavano avessi terminato la terapia, mi sono solo assentato per un paio di settimane.
Zuck, Smilza, Badòn e Pigua sono stati a Porto Sa Ruxi, località all’estremo sud-est della Sardegna. Bel posto, di cui vi faccio vedere il mare. Ho ritrovato il posto su Google maps, la casa è al centro con la freccia, mentre la spiaggia è quella a sinistra.
Adesso su, si ricomincia!

Addio Syd

Non per fare il polemico ad ogni costo, dottore, ma quanti hanno scritto parole commoventi sul loro blog sulla morte di Syd Barrett ricordano una sua canzone? Non dico nelle versioni Ummagummiche e posteriori dei Pink Floyd post-syd, dico una canzone da The piper at the gates of Dawn.The piper at the gates of dawn
Secondo me pochi pochi pochi.
Questo perché Il primo disco dei Pink Floyd e l’unico, o quasi, con Syd vivo e vegeto e non vegetale, è un disco difficile, lontano anni luce dalla soft musica intellettual-sottofondo da baccaglio che hanno prodotto i suoi compari all’apice del successo. Lontana anni luce nel senso che, mentre la musica dei Pink Floyd anni settanta si libra tre metri sopra il cielo (in certi casi con la profondità dell’omonimo romanzo) per psicoanalizzare il bassista, le composizioni su The piper stanno in una galassia lontana, a flirtare con una supernova e un sole morente (purtroppo ci stava anche la mente di Syd e non è più riuscito a tornare) per poi tornare fugacemente sulla terra per farsi un giro su una bici, parlando di gnomi e spaventapasseri.
Per fare un esempio, in modo che anche lei dottore possa capire, se io, imberbe teenager, avessi invitato una squinzia in camera mia, e, spenta la luce, avessi messo The dark side of the moon sul piatto, sarei potuto passare per l’intellettuale olofonico che poteva cedere ai piaceri della carne. Se invece avessi messo The piper at the gates of dawn sarei passato per un pazzo appassionato di satanismo con una vena bambinesca che cercava di stuprarla.

Comunque, addio Syd.

I padroni della notte

I padroni della notte di Trevor Hoyle è la storia di Kenny, adolescente che vive nel quartiere di Ashfield Valley a Rochdale cittadina industriale nei dintorni di ManchesteI padroni della notter. Attraverso Kenny, l’autore ci dà uno splendido spaccato della vita del sottoproletariato urbano inglese. Violenza, birra, droga e soprattutto odio per tutti, dai vecchi agli immigrati. Ma, nonostante il comportamento del protagonista raggiunga abissi impensabili, l’autore, nonostante il suo stile asciutto, porta il lettore a provare empatia con Kenny.
Il ragazzo è sicuramente colpevole ma anche vittima di una società opprimente, fin dalla struttura del quartiere, costruito sul finire dei sessanta con concetti da alveare, come viene descritto con precisione da Hoyle nel primo capitolo del libro.
Un libro verità che, pur scritto nel 1975, ci insegna moltissimo sulla società odierna.