Abattoir blues + The lyre of Orpheus – Nick Cave & the Bad seeds

Get ready for love! Inizia con questo urlo il primo dei due cd della nuova uscita discografica di Nick Cave & the Bad seeds, orfani di Blixa Bargeld. È questo il titolo della prima canzone di Abattoir Blues, che pare segnare un ritorno alle sonorità dure e coinvolgenti che avevano caratterizzato l’album precedente Nocturama, che aveva segnato un inversione di tendenza rispetto all’intimismo di No more shall we part. Già con il secondo pezzo, Cannibal Hymn, il contesto si fa meno caciarone. Ma già Hiding all away ci restituisce un Nick Cave quasi gospel, con l’aiuto del London Community Gospel Choir, in un crescendo che segna uno dei momenti migliori del primo cd. É proprio questa vena soul-gospel, che caratterizza anche There she goes, my beautiful world e il singolo Nature boy, ad essere la cifra stilistica più rilevante di Abattoir Blues. Naturalmente, Nick Cave non ha perso la pregnanza poetica dei testi e l’oscuro fascino della voce, i Bad Seeds continuano ad essere non solo una backing band di virtuosi eclettici, ma anche un valido aiuto nella composizione delle musiche come in Let the bells ring.
Il secondo cd The lyre of Orpheus, inizia con il brano omonimo, dal sapore dei tempi passati. Si prosegue con la splendida e bucolica Breathless, che dimostra che i nostri sono in anche grado di fischiettare allegri per i campi (!?!). Piano, chitarra e voce recitata per Babe, you turn me on, acustica ballata. Ma è con l’incalzante Supernaturally che si torna indietro a sonorità dei primi album dei Bad Seeds. E con Spell sembra di avere a che fare con una outtake di No more shall we part. La coralità di Carry me e di O children ci riporta al gospel del primo cd, ma con un tono più tormentato e riflessivo.
Per concludere, due cd al prezzo di uno, dottori, di una qualità che nessuno è in grado di discutere e che, nonostante i frequenti richiami ad una cifra stilistica ormai matura e consolidata, mostrano un artista sempre alla ricerca di una evoluzione delle propria poetica.

The faulty map that brought Lou Reed to Genoa

Visto il concerto di Lou Reed alla festa nazionale dell’Unità a Genova, domenica scorsa.

Bel concerto con Lou Reed supportato dal fido Mike Rathke alla seconda chitarra e da Fernando Saunders al basso e ai cori.

Nonostante la mancanza di percussioni il rock del trio è stato potente e diretto.

Il repertorio si è basato soprattutto su canzoni tratte da Ecstasy, album del 2000, con l’introduttiva Modern Dance, una tormentata title track e, nei bis, una versione accorciata di Like a Possum.

Power and glory e Magic and Loss (con inserti di you just keep me hangin on!) dall’album omonimo hanno confermato il fatto che la serata sarebbe stata all’insegna delle canzoni meno conosciute e più ostiche (non Metal Machine Music, comunque). Jesus, una preghiera, Guardian Angel, The day John Kennedy die, Dreaming, The blue mask e Why do you talk hanno completato la scaletta.

Nei bis una scontata Satellite of love e una eccitante Sweet Jane.

Ma, dottori, Zuck aveva raggiunto l’apice alla quarta canzone: sono bastati i primi due accordi di Romeo had Juliette.